La scelta di raccontarsi per un anno a uno sconosciuto affidandosi alla fotografia come mezzo esplorativo e introspettivo.
La definizione di un’unità di misura esistenziale o semplicemente di un confine simbolico: un anno.
Ma il tempo si rivela ingannevole, “se non me lo chiedi so cos’è. Se me lo chiedi, non lo so più”, diceva Agostino d’Ippona. Così gli scatti si susseguono su un percorso apparentemente lineare, ma frammentato. I ricordi e la realtà cominciano una danza sovrapposta dove tutto diventa indefinito e l’unico spazio possibile assume i contorni di una dimensione onirica. L’amore perduto o riscoperto, le paure ataviche, la consapevolezza della maternità, le seconde occasioni per cambiare quello la vita aveva lasciato in sospeso. Emozionalmente tutto s’imprime, visivamente ciò che sembra omesso è diventato metafora nel rapporto catartico con la natura. Così il processo conoscitivo del sé inverte la rotta e dall’accumulo delle immagini passa a una loro sottrazione che colga il senso del tutto. Ritrovarsi, stare in equilibrio davanti a qualsiasi sfida, riconnettersi al proprio giardino interiore, all’energia primordiale che ci ricorda come siamo inevitabilmente parte di questa cosa chiamata Universo. |